L’isola dei cani – Recensione
Nel 2037, la crescita incontrollata dei cani e la diffusione di una misteriosa “influenza canina” impongono al sindaco della città di Megasaki, nell’arcipelago giapponese, di adottare una drastica misura d’emergenza: mettere in quarantena tutti i cani, segregandoli sull’isola dove vengono riversati i rifiuti. In seguito alla scomparsa del suo cane da guardia Spots, il 12enne Atari Kobayashi pilota un piccolo aeroplano fino a “L’isola dei cani”, dove viene soccorso da cinque cani – Capo (voce originale di Bryan Cranston), Rex (Edward Norton), Boss (Bill Murray), Duke (Jeff Goldblum) e King (Bob Babalan) – che, commossi dal coraggio e dalla devozione del ragazzino nei confronti del suo cane smarrito, si impegnano a proteggerlo dagli uomini che gli danno la caccia e scortarlo nella ricerca del suo amico, in un’isola piena di rifiuti che evoca le atmosfere di “Wall-E”.
Film di apertura dell’ultima edizione del Festival del cinema di Berlino, “L’Isola dei cani” – nono lungometraggio e secondo film d’animazione in stop motion per Wes Anderson, che alla Berlinale è stato premiato con l’Orso d’argento alla regia – è un omaggio alla cultura nipponica che esalta i valori dell’amicizia, dell’eroismo e della speranza, ma soprattutto l’amore per i film giapponesi del regista, che ha curato il progetto insieme ai amici Roman Coppola e Jason Schwartzman. L’uso della stop motion (già visto in “Fantastic Mr. Fox”), la fotografia coloratissima di Tristan Oliver, i lunghi movimenti di macchina, la simmetria perfetta delle inquadrature: come sempre, l’immagine è la parte migliore di ogni film di Anderson che dedica una spasmodica attenzione anche all’aspetto degli “attori”, che assumono le caratteristiche facciali di chi li interpreta. La gran parte dei dialoghi in giapponese non è tradotta (mentre «Tutti i latrati sono stati tradotti in inglese»): il deficit di comunicazione tra umani viene “risolto” con una magnifica colonna sonora, curata dal premio Oscar Alexandre Desplat – alla sua quarta collaborazione con Anderson dopo “Fantastic Mr. Fox”, “Moonrise Kingdom – Una fuga d’amore” e “Grand Budapest Hotel” – che è capace di sottolineare la potenza delle immagini e il dialogo muto tra i protagonisti, che spesso vale più delle parole. Questo non vuol dire che la sceneggiatura sia lenta, anzi: il racconto scorre veloce e serrato, grazie all’uso di molteplici flashback, a un retroscena leggendario e a una sottotrama parallela, con protagonista la studentessa Tracy (doppiata da Greta Gerwig), che persuade i suoi compagni a svelare il complotto del sindaco.
Monica Scillia