Skyscraper – Recensione
Dwayne The Rock Johnson lo ha fatto ancora: un altro film che pesca nell’immaginario a metà tra gli anni ‘80 e i ‘90, dopo Baywatch (adattamento del telefilm con David Hasseloff), Jumanji (sequel del film con Robin Williams) e Rampage (ispirato a un coin op da sala giochi). Con “Skyscraper” il roccioso ex wrestler si cimenta in un “omaggio” (chiamiamolo così) a “Die Hard”, caposaldo del cinema d’azione con Bruce Willis (“Trappola di cristallo” nel fantasioso adattamento del titolo in italiano), insieme a qualche riferimento al combattimento tra gli specchi di Bruce Lee.
Caro Dwayne, spero che se un giorno leggerai queste righe vorrai comprendere che sono felice che il tuo film, costato 125 milioni di dollari, stia ripagando il budget, grazie al primo posto negli incassi anche qui in Italia, ma mi perdonerai se – sempre dall’alto di un barattolo di piselli – a mio modesto parere sia da relegare nello scaffale dei fumanti ammassi di corbellerie. La storia sembra ripassata con la carta copiativa dal film di McTiernan: il grattacielo giapponese, la famiglia in trappola, i terroristi con l’improbabile accento straniero, tra questi il capo burbero e la “bad girl” con frangetta perennemente su un occhio, la corsa contro il tempo e le avversità sempre crescenti. In questa fiera dello stereotipo, le uniche note che differenziano il film dal suo antesignano sono un eroe con una protesi al posto di una gamba e qualche schermo touch in più rispetto agli anni 80. Solo che a “Die Hard” questo film non allaccia le scarpe, neanche quella della protesi: sviluppo e soluzioni nella trama così telefonate da fare invidia alle nuove offerte low cost per i cellulari. Ma non c’è solo questo a far salire vertiginosamente il termometro dello sbuffo (almeno tre i momenti in cui gonfiando le guance ed emettendo un poderoso soffio viene da pensare “ok, ma quando finisce?”) e a rendere impietoso il confronto: a far diventare tutto estremamente pesante è il progetto di un film costruito a tavolino per poter portare al cinema anche i ragazzini, completamente sterilizzato, totalmente “explicit lyrics free”, la versione di Disney Channel del film d’azione che vorrebbe omaggiare.
Fatte salve le scene ad altezze sconsiderate – per cui chi ha qualche sintomo di vertigini, ad esempio il sottoscritto, almeno all’inizio ha qualche palpitazione in più – l’espediente per tenere alta la soglia di attenzione dello spettatore è che all’incirca ogni 7 minuti qualcosa fa SBODOBODOBODOBOOOOOOOMMM: se un film d’azione deve essere un giro sulle montagne russe, una scelta del genere rende “Skyscraper” eccitante come passare due ore di fronte allo stesso pupazzo nel tunnel dell’orrore, alla terza volta arriva l’effetto tormentone inverso e scatta lo sbadiglio. Alla fine il risultato è che il protagonista, più che il McLane di “Die Hard”, sembra quasi una caricatura strapompata – ma più politically correct – di Pino dei Palazzi, tamarro di periferia: fa le penne con la moto e la polizia muta, salta da una gru verso il grattacielo e le guardie mmuuuute, fino al prevedibilissimo lieto fine e alla ancora più telefonata trovata della scena finale che si riallaccia alla prima scena della famigliola felice del grattacielo bianco in un tripudio di miccette.
P.S.: Dwayne, grande schermo a parte e non per evitare un eventuale “paliatone”, ma nella serie Tv “Ballers” eri spettacolare!
Kung Paolon