Millennium – Quello che non uccide – Recensione
Lisbeth Salander (Claire Foy), la hacker svedese che salva le donne dagli uomini violenti, deve fare i conti con il passato e con la sorella Camilla (Sylvia Hoeks). Assoldata dall’informatico Frans Balder (Stephen Merchant) per recuperare un programma di sua invenzione che potrebbe mettere a rischio la sicurezza in tutto il mondo, Lisbeth diventa il bersaglio degli Spiders, un’organizzazione criminale che rapisce August, figlio di Balder e chiave di accesso al programma.
Arriva oggi nelle sale cinematografiche italiane “Millennium – Quello che non uccide”, adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo scritto da David Lagercrantz, diretto dal regista uruguaiano Fede Alvarez e presentato alla Festa del cinema di Roma. Lisbeth Salander è tornata, ma decisamente nn è più la stessa. Da quando Hollywood ha messo le grinfie sulla saga (ricordiamo l’apprezzabile versione di “Uomini che odiano le donne” di David Fincher con Daniel Craig e Rooney Mara), il personaggio è stato snaturato più volte, sia rispetto ai romanzi di Stieg Larsonn, sia rispetto a se stesso. Quella di Claire Foy è una versione del tutto nuova della Lisbeth Salander che abbiamo imparato a conoscere e, anche se la bravura dell’attrice (all’apice della sua carriera dopo lo straordinario successo ottenuto con la serie tv “The Crown”) non è messa in discussione, non ci siamo proprio. Più morbida, meno spigolosa nell’aspetto e nel carattare, meno punk anche nel look: quella di Claire Foy è una Lisbeth meno aggressiva e più cerebrale, che deve fare i conti con il proprio passato e con le proprie fragilità e, proprio per questo, sembra meno invincibile e meno convincente. Altrettanto poco convincente è la trama, che per molti tratti non rispetta il libro e che presenta molti buchi narrativi e molti cliché. Assolutamente inconsistente il ruolo del giornalista investigativo Mikael Blomkvist, qui affidato a un incolore Sverrir Gudnason (il Bjorn Borg di “Borg McEnroe”).
Monica Scillia