A beautiful day – Recensione
«It’s a beautiful day», dice la piccola Nina a Joe nell’ultima scena – un capolavoro che mescola pulp e dolcezza – di “A Beautiful Day” (titolo originale “You Were never really here”) di Lynne Ramsay, la pellicola tratta da un racconto di Jonathan Ames, che è stata premiata per la sceneggiatura e il miglio attore al Festival di Cannes 2017: una frase che sembra fare a pugni con i 90 minuti precedenti e che invece è l’epilogo perfetto per i due reduci. Joe (Joaquin Phoenix) è un ex militare che soffre della sindrome di stress post traumatico, perseguitato dagli incubi sulla guerra e dalle violenze subite da bambino. Accudisce amorevolmente l’anziana madre malata (Judith Roberts) e si guadagna da vivere a colpi di martello, liberando le adolescenti che finiscono – loro malgrado – in un giro di prostituzione. Un giorno viene contattato da un famoso politico newyorkese (Alex Manette), che crede che sua figlia Nina (Ekaterina Samsonov) sia stata rapita da una di queste organizzazioni e che sia stata costretta a prostituirsi: Joe accetta l’incarico, ma si renderà conto molto presto di essere finito in una faccenda molto più grande di lui.
“A beautiful day”, violenza e tenerezza nel giustiziere Joaquin Phoenix
Tre volte candidato all’Oscar per “Il Gladiatore”, “Quando l’amore brucia l’anima” e “The Master”, in “A Beautiful Day”, Joaquin Phoenix si conferma un talento straordinario. Impossibile non scorgere in Joe i tratti ruvidi del Travis Bickle di “Taxi Driver” o il misto di violenza e tenerezza di “Leon”, ma Phoenix – sovrappeso, barba incolta, sguardo perso nel vuoto – è capace di delineare un personaggio complesso e sfaccettato che è solo un “semplice” giustiziere, come dimostra il (tenero, maniacale e amorevole) rapporto con sua madre che, per dirla con le parole del protagonista, è «fatto di amore e dolcezza, ma anche di quella frustrazione che vive chi si prende cura di una persona anziana e malata». Con i suoi primi piani, “A beautiful day” scava a fondo nella personalità di un uomo ossessionato dai ricordi, che rifiuta l’idea di continuare a vivere e che cerca di riportare l’equilibrio e la giustizia a martellate, come se ad ogni colpo volesse spegnere la violenza che gli pulsa in testa. E pulsa anche la musica – la colonna sonora è di Johnny Greenwood – che sottolinea perfettamente questo saliscendi di emozioni, tra violenza inaudita e momenti di estrema tenerezza. “A beautiful day” è inclassificabile (nel senso che travalica ogni genere cinematografico, dal thriller psicologico al dramma): profondo, complesso e introspettivo, un vero e proprio pugno nello stomaco. Forte, diretto. E non per tutti.
Monica Scillia