Detroit – Recensione
Detroit, luglio 1967: un intervento della polizia in un bar privo di licenza per gli alcolici, frequentato esclusivamente da giovani di colore, dà il via a una serie di rivolte e scontri, che portano alla morte di 43 persone. Gli sciacalli saccheggiano palazzi e negozi, mentre due ragazzi di colore si rifugiano al Motel Algiers per sfuggire alla violenza che invade le strade, ma uno sparo provoca il blitz di una squadra di poliziotti razzisti e maldestri, che cambierà per sempre le loro vite.
Duro, violento, viscerale. Un pugno allo stomaco. “Detroit“, il nuovo film del premio Oscar Kathryn Bigelow, che ritorna dietro la macchina da presa a cinque anni da “Zero Dark Thirty”, conserva il suo stile semi-documentaristico, privo di fronzoli ma ricco di pathos, che permette allo spettatore di sentirsi completamente immerso nella storia, ispirata a un fatto reale e tremendamente attuale nonostante siano passati 50 anni. Il film è stato presentato all’ultima Festa del Cinema di Roma.
Bravissimi gli attori, dal cattivissimo poliziotto Will Poulter all’intenso John Boyega, che interpreta uno dei personaggi più intensi, un uomo che si trova nel posto sbagliato al momento sbagliato e cerca di calmare gli animi e di sopravvivere, fino al confronto finale con un sistema giudiziario razzista in cui giustizia purtroppo non è fatta. Dopo due ore col fiato sospeso, però, proprio sul finale la pellicola si sgonfia ed è un po’ troppo frettolosa nel trattare il processo ai poliziotti che si macchiarono delle violenze.
Monica Scillia