Il sacrificio del cervo sacro – Recensione
Il regista greco Yorgos Lanthimos torna in sala con “Il sacrificio del cervo sacro”, vincitore del Premio della Giuria alla 68esima edizione del Festival di Cannes: Steven (Colin Farrell) è un famoso chirurgo cardiotoracico che vive insieme alla moglie Anna (Nicole Kidman) e ai loro due figli, Kim (Raffey Cassidy) e Bob (Sunny Suljic). Nelle loro esistenze si insinua Martin (Barry Keoghan), un sedicenne solitario che ha da poco perso il padre: Steven decide di prenderlo sotto la sua ala protettrice, ma ben presto nella vita della sua famiglia cominciano a verificarsi eventi inquietanti che lo costringono a compiere un tragico sacrificio.
Dopo la satira di “Dogtooth”, l’elaborazione del lutto di “Alpi” e la tragicommedia “The Lobster”, Yorgos Lanthimos confeziona una pellicola ancora più sconvolgente: una storia di vendetta metodica, che si ispira al mito greco del sacrificio di Ifigenia. Le atmosfere cupe e senza speranze sono la scenografia de “Il sacrificio del cervo sacro”, un thriller (qualcuno lo definirebbe horror) infarcito di simboli e mitologia, per esplorare i comportamenti umani. Protagonista assoluto un intenso Colin Farrell che ha già collaborato con il regista greco in “The Lobster”, dove ha recitato al fianco di Rachel Weisz. Altrettanto brillante Barry Keoghan – uno dei giovani interpreti di “Dunkirk” di Christopher Nolan – che assomiglia a un giovane Norman Bates, con gli occhi spalancati e un aspetto inconsapevolmente pericoloso: i dialoghi tra i due sono è teatralmente banali (discussioni su cinturini per orologi, torta al limone e cicli mestruali), il loro rapporto sembra eternamente in bilico tra ammirazione e disprezzo.
Per tutto il tempo, Lanthimos e il co-sceneggiatore Efthymis Filippou tengono sulle spine lo spettatore, che non riesce a capire se Martin sia l’architetto o il messaggero di forze oscure che vanno al di là della nostra comprensione: ne è un esempio l’incontro – organizzato da Martin – tra Steven e sua madre (un acuto cameo di Alicia Silverstone), che è ossessionata dalle sue «bellissime mani» e che insiste affinché lui assaggi la sua crostata, nonostante un approccio respinto. La fotografia asettica di Thimios Bakatakis accentua il senso di terrore mentre la macchina da presa si insinua nei corridoi dell’ospedale, che ricordano quelli di “Shining”, così come la malattia misteriosa che colpisce Kim e Bob, che i medici non riescono a diagnosticare, strizza l’occhio a “L’Esorcista”. Impossibile classificare la pellicola di Lanthimos: “Il sacrificio del cervo sacro” non è un thriller o un horror “puro”, ma travalica i generi cinematografici, in un crescendo di tensione che culmina con un evento tragico, in grado di riportare l’equilibrio.
Monica Scillia