Kursk – Recensione
“Una storia di umanità”. Thomas Vinterberg ha raccontato così “Kursk”, suo ultimo film, presentato nell’ottobre scorso alla Festa del Cinema di Roma. “Ho scelto di fare questo film perché al suo interno ci sono cose che ricorrono spesso nella mia vita: ci sono la giustizia, la famiglia, un uomo contro la burocrazia, l’indignazione politica”, ha spiegato il regista danese, che ha deciso di raccontare la storia del K-141 Kursk, il sottomarino russo a propulsione nucleare affondato nel Mare di Barents nell’agosto del 2000. Ventitré marinai, inizialmente sopravvissuti all’esplosione, hanno lottato per la sopravvivenza a bordo del sottomarino, negli abissi, mentre per nove lunghissimi giorni, sulla terraferma, la burocrazia e gli equilibri diplomatici rallentavano le operazioni di soccorso.
“Kursk” non è un documentario e nemmeno una storia di fantasia: è un film a metà tra realtà e finzione, che ripercorre i giorni precedenti e quelli successivi il 10 agosto del 2000 attraverso gli occhi di chi aspetta… Le famiglie dei marinai che aspettano notizie dei loro cari, i 23 uomini intrappolati nel Kursk che aspettano un segnale dal mondo esterno, gli inglesi pronti a immergersi con un mini-sommergibile che aspettano il via libera delle autorità.
Vinterberg decide di utilizzare un doppio registro: da una parte racconta, in maniera quasi intimistica la storia dei marinai e delle loro famiglie, attraverso gli occhi di chi vive la quotidianità facendo i conti con il vuoto e l’attesa; dall’altra non tralascia la spettacolarità e l’intensità delle immagini, che ben si coniugano con il tema trattato. Il resto lo fa un ottimo cast, a cominciare da Matthias Schoenaerts nei panni del capitano Mikhail Averin, Léa Seydoux che interpreta sua moglie Tanya, e Colin Firth che veste la divisa dell’ammiraglio britannico Russel, impegnato in tutti i modi a cambiare il corso di una storia già scritta.
Sonia Arpaia