La diseducazione di Cameron Post – Recensione
Montana, 1993: l’adolescente Cameron Post (Chloë Grace Moretz), orfana dei genitori, viene sorpresa sul sedile posteriore di un’auto mentre bacia la sua migliore amica, Coley (Quinn Shephard). Nel tentativo di esorcizzare la sua SSA (“attrazione dello stesso sesso”), Cameron viene spedita da sua zia in un centro religioso specializzato in “confusione sessuale”, la God’s Promise, gestita da due fratelli – la dottoressa Lydia Marsh (Jennifer Ehle) e il reverendo Rick (John Gallagher Jr) – che lavorano sulla “conversione” di questi giovani.
“La diseducazione di Cameron Post” dell’emergente Desiree Akhavan – Gran Premio della Giuria al Sundance Festival di quest’anno e tratto dall’omonimo romanzo di Emily M. Danforth – ruota soprattutto intorno alla protagonista, insofferente alla disciplina e ai dubbi metodi del centro, e ad altri due giovani reclusi (Sasha Lane e Forrest Goodluck) con cui Cameron fa amicizia, nel tentativo di sopravvivere all’incredibile violenza psicologica del programma di “recupero”. La pellicola racconta la prigionia dei tre ragazzi senza cinismo né morbosità, dalla scoperta del sesso alla droga: l’idea di un campo di conversione cristiano in cui “curare gli adolescenti gay” sembra quasi finta, fino a quando lo spettatore non realizza che questi luoghi sono reali e si schiera al fianco dei tre protagonisti, che tentano il tutto per tutto pur di evitare il lavaggio del cervello (ma non tutti gli ospiti del centro sono così coraggiosi). Bravissima Chloë Grace Moretz: le sue capacità attoriali e la sua maturità vanno ben al di là dei suoi 21 anni e “La diseducazione di Cameron Post” è sicuramente il più bello dei suoi film fino ad oggi.
Monica Scillia