L’ora più buia – Recensione
Un SONTUOSO Gary Oldman si prende tutta la scena in “Darkest Hour”: l’attore ha già vinto il Golden Globe e potrebbe fare il bis con l’Oscar per la sua interpretazione di Winston Churchill in “L’ora più buia. Un film che tesse una trama invisibile con un altro dei candidati di quest’anno agli Awards, “Dunkirk”, le vicende in alcuni punti si sovrappongono, ma i punti di vista e l’ambientazione differiscono. Da una parte un film corale, con un racconto diviso in tre per tempi e luoghi in cui prevale l’azione e la fisicità, dall’altra un racconto ai limiti della cronaca biografica (ma non agiografica), in cui si racconta come le retorica (intesa come arte della parola, che persuade e seduce, ma a fine di bene) possa sostenere e concretizzare le decisioni ostinate di un singolo, pronto a caricarsi sulle spalle il possibile fallimento di un’intera nazione.
Non un’agiografia – dunque – Churchill non è il “santino” tramandato nella cultura popolare: nel film di Nolan la sua “apparizione fantasmatica” avviene solo tramite un discorso in radio, in “Darkest Hour” abbiamo un politico che sta per diventare statista, sulle soglie della storia ma non ancora sbocciato, outsider del suo tempo ma già con parecchi vizi, come alcool e sigari, anche se non tutti quelli che il vero Churchill coltivava (come ad esempio il gioco d’azzardo). Una dimensione umana, troppo umana che non può non portarlo a sentirsi inadeguato. Proprio la confessione delle sue debolezze costituirà la più buia delle ore insonni, che però sarà preludio a una nuova luce: è ancora la parola che torna protagonista, ad ascoltarlo in una dimessa stanzetta sarà Giorgio VI, che con “logos” e discorsi ha già avuto a che fare grazie a un altro film, “Il Discorso del Re”.
Discorsi che non sono solo parole su carta o che viaggiano nell’etere, ma sono fatti anche di «sangue, fatica, lacrime e sudore», come dirà lo stesso Churchill, e come il film racconta grazie alla descrizione di un leader che non ha mai preso la metropolitana, ma che nelle viscere del trasporto pubblico si nutrirà delle speranze delle persone, che spronerà a combattere il nazismo con ogni mezzo necessario. «Un uomo può meglio morire, che affrontando impavido rischi fatali Per le ceneri dei padri, e per i templi degli Dei immortali», così scandirà in metro Churchill, sovrappensiero, ma insieme a lui anche un giovane (nero) riconoscerà e completerà questa citazione dall’Orazio Coclite del poeta inglese Macaulay (no, non ho tutta questa cultura, ma grazie gugol e uichipidia, che uno si appunta le cose e può scovare l’intreccio di altri fili nascosti).
Paolo Giannace