Loro 1 – Recensione
Non pensare all’elefante, non pensare all’elefante, non pensare all’elefante… un mantra che irrimediabilmente porterà chiunque a pensare a un elefante, come spiega nel suo lavoro più noto il linguista George Lakoff: l’elefante di “Loro 1” è Silvio Berlusconi, assente fin dal titolo dell’ultimo film di Paolo Sorrentino, presenza pervasiva di tutta la pellicola, pur se la sua apparizione in scena – e nel suo esilio in Sardegna, lontano dalla politica e dalla scena pubblica – viene relegata solo alla parte finale dello spettacolo. Più che per sottrazione, si tratta di un lavoro di demarcazione: la figura di Berlusconi viene tratteggiata da “loro”, tutti gli altri che gli stanno intorno o che puntano a stargli il più vicino possibile e che persino nella memoria dei cellulari lo hanno registrato come “LUI”.
Sorrentino fa presagire un ritorno in scena molto più marcato nella seconda parte (in sala dal prossimo 10 maggio), ma anche questa prima “puntata” non delude: la selva ipertrofica di personaggi di contorno – che nella realtà ha attorniato Berlusconi per anni – viene notevolmente ridotta anche tramite la “fusione” a freddo di alcuni politici (Fabrizio Bentivoglio nel ruolo di un Formigoni-Bondi-Alfano o Anna Bonaiuto metà Santanchè, metà Brambilla, forse anche un po’ Carlucci), ciò nonostante risulta più che adeguata a tratteggiare la dimensione di decadenza e fine impero affidataci anche dalle carte processuali. In questa jungla di vallette e “talent scout” cerca di avventurarsi Riccardo Scamarcio, imprenditore “tarantino”, alla caccia della preda più ambita: per arrivare a King Kong Silvio, dovrà prima affrontare altre “bestie” dal fascino esotico, la più difficile da ammaliare (ma da cui è ben più facile essere ammaliato) sarà l’ape regina Kasia Smutniak.
Un camion dell’immondizia che esce fuori strada e atterra nei fori imperiali, esplodendo i suoi frammenti di monnezza in cielo, segna lo stacco dalle notti e dai salotti romani alle feste in piscina all day long in Sardegna, il passaggio da “loro” a “lui”. Nella dimensione intima di “condottiero in esilio”, Toni Servillo nel ruolo di Berlusconi regala alcune perle indubbie, che the real Silvio le abbia dette o meno non fa differenza, la verità è quello che dici e la faccia tosta con cui riesci a sostenerla, è il verosimile a trionfare, in un mondo completamente rovesciato (e un film per sua natura deve puntare a rovesciare il reale) il vero non è che un momento del falso, come ci ha insegnato Guy Debord. Berlusconi garantista, situazionista, battutista, bugiardo cronico e amante della musica napoletana: tutti tratti che Sorrentino non ha dovuto che registrare, nulla da inventare, ma ben giocati e indispensabili a disegnare un ritratto vivente, al di là dell’accento da ganassa e delle protesi di gomma indossate da Servillo.
Paolo Giannace