Nureyev – The White Crow – Recensione
Passionale, incline agli eccessi, egoista e spietato, perfezionista fino all’ossessione e incredibilmente tenace: è Rudolf Nureyev, uno dei più grandi ballerini del mondo, interpretato dal giovane Oleg Ivenko (étoile della compagnia di danza del Tatar) in “Nureyev – The White Crow”, diretto da Ralph Fiennes e tratto dal romanzo omonimo scritto da Julie Kanavagh. “Nureyev – The White Crow” ripercorre l’infanzia poverissima di Rudy, dalla nascita su un treno, fino ai duri allenamenti per diventare un ballerino, sotto la guida di Alexander Pushkin (intepretato dallo stesso Fiennes). Il suo talento e la sua ostinazione lo porteranno in Occidente, a Parigi, dove scoprirà un mondo completamente diverso dal suo, aperto e tollerante. Complici due danzatori francesi (interpretati da Calypso Valois e Raphael Personnaz) e una giovane parigina di origine cilena, Claire Saint (Adèle Exarchopoulos), Nureyev deciderà di voltare le spalle alla Russia e di chiedere asilo politico per continuare a danzare.
«Conoscevo pochissimo della vita di Nureyev. Ho iniziato a leggere la biografia di Julie Kanavagh e mi sono innamorato. Ho cominciato a viaggiare, volevo conoscere le città, i luoghi abitati da Nureyev per essere il più fedele possibile alla sua vita. Per me era diventata quasi un’ossessione», ha raccontato Ralph Fiennes in una intervista a un settimanale francese. Il regista inglese ha visto numerosi film d’archivio, è andato a Ufa, ha visitato la scuola Vaganova di San Pietroburgo dove ha studiato Nureyev e l’Opéra di Parigi: un profondo e appassionato lavoro di documentazione che si traduce in un’accurata ricostruzione scenica, a cui si aggiunge la scelta «pensata e profondamente voluta» del bianco e nero, utilizzato per raccontare la poverissima infanzia di Rudy. “Nureyev – The White Crow” punta molto sull’autenticità (il cast è composto principalmente da ballerini), nel tentativo di raccontare non solo l’indimenticabile ballerino che rivoluzionò la danza, ma anche il suo carattere, plasmato da una severissima formazione artistica e da un altrettanto inflessibile Paese, nel contesto storico della Guerra Fredda tra la Russia e l’Occidente.
Monica Scillia