The Void – Recensione
In un momento storico che sta rivalutando e riportando in vita un arco di tempo compreso tra gli anni 80 e gli anni 90, un film come “The Void” riesce a mostrare amore per quel periodo senza fermarsi al puro citazionismo, ma ricreando alcune delle condizioni base per ottenere l’atmosfera che si respirava nei cinema un paio di decenni fa, quando si proiettava un film horror. I riferimenti più evidenti sono a Brian Yuzna e Peter Jackson – con abbondanza di scene truculente e anatomie deformate – ma c’è spazio anche per le rappresentazioni doloranti di Clive Barker, mischiate a un po’ di sano slasher e di sette demoniache (e un finale che punta nettamente dalle parti delle pellicole di Lucio Fulci). E’ un film che cresce man mano che si va avanti nella visione: da piatto “corri e scappa” – con la classica situazione di assedio che ha canonizzato Carpenter – diventa una montagna russa verso il putridume e la follia che sbarca fino allo spazio profondo descritto da HP Lovecraft.
Parte dei fondi sono stati recuperati grazie a una raccolta online, con ognuno dei minifinanziatori che compare nei titoli di coda (parecchi anche con nickname improbabili). Il budget “amatoriale” non è però un limite, anzi, diventa uno stimolo ad apprezzare quanto si possa fare del buon cinema horror, scostandosi da tutti i vari filoni contemporanei, ormai fossilizzati su un paio di idee e portati avanti solo con trucchetti da luna park (il babau che spunta all’improvviso, accompagnato da uno sbalzo sonoro di qualche centinaio di decibel). Come ha detto un altro spettatore/recensore (non ci conosciamo, ma ti voglio bene), ormai il 90% dei film horror “sembrano pubblicità di agenzie immobiliari andate a male”. Ecco, qui invece di avere uno spottone, abbiamo un sano e rivoltante filmaggio che ti ripugna ma allo stesso tempo ti farà urlare “ANCORA ANCORA ANCORA!”.
La risposta alla classica domanda “vale i soldi del biglietto?”, è decisamente sì, ma dovete saper aspettare: diciamo che fino a metà primo tempo ha un controvalore da “pellicola da cestone dell’autogrill” (anche per una scarsa carismaticità di parecchi attori), il crescendo è poi impressionante, come un tamburo nella notte che continua a martellare in maniera incessante. Il rimbombo vi accompagnerà per parecchio.
Paolo Giannace